7 maggio inglese Solo il diavolo, probabilmente Sarà un voto sul filo di lana quello che aspetta il premier britannico David Cmeron, il prossimo 7 maggio, perché davvero solo il diavolo sa cosa succederà nel Regno di Sua Maestà, un anno dopo che si voleva persino la Scozia indipendente e repubblicana, roba dell’altro mondo. Con Cameron a Buckingham Palace per informare la Regina, che il Parlamento è stato sciolto la campagna elettorale è cominciata formalmente. I conservatori in queste occasioni ostentano sempre la loro maggiore faccia tosta, convinti magari per davvero che la loro politica economia consenta all’Inghilterra di crescere e creare posti di lavoro. Cameron è tracotante almeno quanto Renzi, sicuro di aver rimesso in piedi il paese, che l’unica zeppa è stata posta dalla partecipazione alla Unione europea, ma quella con un referendum fra un paio d’anni si può risolvere e la Gran Bretagna libera da qualsiasi obbligo continentale, chissà pronta magari a lanciarsi in qualche nuova avventura coloniale. A Cameroon manca solo il kepì in testa e il frustino in mano per essere davvero a suo agio. Tutto sommato gli imprenditori preferiscono ancora lui ad Ed Miliband soprattutto dopo lo scontro feroce con l’imprenditore di origini pescaresi Stefano Pessina chief executive della Walgreens Boots Alliance, un colosso del settore quotato a Londra e New York che dopo aver criticato sul Telegraph, il piano economico dei laburisti “non aiuta l’industria, il paese, e non sarà utile nemmeno a loro” si è ritrovato nella bufera. E si che Miliband da buon marxista considera gli imprenditori “predatori”, tanto da vagheggiare l’aumento della tassa sulle corporation per non parlare di quando si trova in difficoltà, si mette a riesumare l’idea di una patrimoniale su grandi capitali e abitazioni di lusso, come faceva il nostro Bertinotti. Ciononostante a vedere i sondaggi, né i conservatori, né i laburisti riescono a convincere pienamente gli elettori, che volentieri manderebbero entrambi a quel paese. Per questo i partiti minori credono che possa essere finalmente arrivato il loro momento. Magari non quello dei liberali di Clegg, che sono dati per spacciati dopo 5 anni di governo passati al servizio dei conservatori, ma magari i nazionalisti scozzesi che sconfitti al referendum potrebbero comunque mandare a Westminster un numero consistente di deputati, tale da mettere nei guai il Labour. E poi c’è lui Nicolas Farage che morde il freno anche se con il sistema elettorale attuale sarà tanto se prenderà 5 o 6 parlamentari. L’Economist, è già salito sugli scudi. Tutta questa incertezza lascia credere che la politica multi-partitica, non sia adatta alla Gran Bretagna che finirà con il ritroverà con governi deboli e instabili. Mai che si pensi piuttosto che 50 anni di alternanza fra due soli partiti, ha finito con l’esasperare persino il monotono elettore britannico. Roma, 31 marzo 2015 |